Ci rivolgiamo a voi ammalati, anziani e a voi tutti che siete loro vicini condividendone la vita, le sofferenze, le gioie, il percorso di trasformazione. Sappiamo che ci stiamo rivolgendo a persone che hanno scelto di vivere la fede vera, di conoscere il Padre, il Figlio che quel Padre ha mandato, lo Spirito Santo e hanno scelto nella fede che quella è la loro vita.

Il mondo è pieno di parole che non salvano e ha bisogno  di testimonianze vere, di Gesù Cristo incarnato e Lui può solo parlare attraverso di noi se lo lasciamo glorificarsi in noi. Voi avete deciso di prendere in mano la vostra vita e lasciarla in Dio attraverso Maria Santissima. Voi non siete una teoria, siete vita che pulsa, che parla, che testimonia.

Sappiamo che siete disposti a farvi guidare dall’Autore della vita per entrare nella vita: questa è la glorificazione che Gesù vuol far fare a ciascuno di noi attraverso il passaggio: mi glorifico, vi trasformo e risorgete.

Vivere così è testimoniare la resurrezione, che non dipende dallo stato della salute o dallo stato d’animo, dipende solo dalla fede. Il passaggio nella fede consiste in quella certezza che è Dio che guida tutto: “Ti ho dato la vita, Tu non puoi sbagliare, Tu non puoi volere da me che io stia male, che io diventi vecchio, che io … . Quello che mi capita è sempre per il bene. Allora sto a contemplare cosa fai, come ti muovi, come mi trasformi”. Il passaggio nella fede: ‘io credo’ è la glorificazione. È l’inizio della glorificazione. Tutta la vita è trasformazione per poi risorgere.

Sappiamo che siete persone limitate – lo erano anche gli Apostoli – però, come loro, amate sinceramente Gesù e nella fiducia che avete in Lui gli permettete di trasformarvi.

Malattia e morte sono realtà che toccano direttamente o indirettamente tutti ed hanno una prerogativa: sono un mistero. Qui ci si trova davanti ad un bivio: o affrontiamo quel mistero con fede, oppure con lo spirito di questo mondo così come esso ce lo propone. Sceglierlo per fede vuol dire che io nella fede entro e  uso della medicina, uso del medico, uso di tutto, ma passo abbandonato a Dio dicendo: “Ok, è così, glorificati in me”. Poi fai il percorso di tutti ma tu non lo fai come tutti.

Questo atto deciso: “Io credo” richiede un rapporto vivo e vero con Cristo, un rapporto all’interno del  quale abbiano conosciuto il suo Amore. Che Lui ci ama lo capiamo guardando il Crocefisso: Dio che si è fatto uomo, ha assunto la nostra natura ha passato la fame, il freddo … anche di peggio: l’essere rinnegato, solo, abbandonato, lasciato; gli hanno strappato la barba, gli hanno sputato addosso; non c’era un pezzo del suo corpo che non fosse una piaga. Gli si è ribellata contro anche la natura: e il caldo, e le mosche e Lui lì inchiodato. Ecco, lì vediamo il suo amore! Non lo vedo perché Lui mi guarisce, quello lo sceglie Lui sapendo quello che è il sommo bene, ma io so che mi ama e mi affido a Lui.

Malattia e anzianità non permettono la fuga, si è costretti a scegliere.

Se scegli “Io credo” partono le leggi dello Spirito, si affronta il mistero con tutta la Chiesa e tutto il corpo mistico è presente. Dio ci mette a disposizione tutto ciò che ci occorre e l’energia primaria che discende dal Vortice Trinitario d’amore allontana paure, disperazione, ogni peso che schiaccia. E’ Gesù che compie tutto in noi ma a noi tocca quell’atto di fede. Non allontana il dolore ma lo trasforma, non allontana la morte ma la glorifica e diventa resurrezione. Si vive il passaggio: “Glorificati, io credo, glorificati”

Se non lo affronti così, invece, si dà spazio alle paure, ai dubbi e nessuno da solo può vincere questo tipo di paure. Arriva il dolore, arriva la morte, ma vissuta in un altro modo.

Si aprono poi tanti altri passi. Accogliamo la malattia, l’anzianità, le accettiamo, le offriamo, però andando avanti c’è un passaggio oltre. Questo passo è: entrare nella malattia e nella morte permettendo che Gesù le vinca per amore degli altri. In questo passaggio io divento l’altare sul quale Gesù  celebra e si glorifica, divento il Calvario sul quale Lui può piantare la sua croce, morire e risorgere in me, per me e a favore degli altri. Divento Eucarestia vivente.

Entrare nella malattia senza che la malattia prenda possesso della nostra vita 

La malattia quando prende possesso?

Di fronte a una malattia ci sono due reazioni fondamentali. In quasi tutti c’è una prima fase che è di smarrimento, una grande sensazione di impotenza e anche di iperattività: ‘bisogna fare questo, fare quello, fare quell’altro’, una efficienza particolare, un domandarsi che cosa si deve fare. Lì si aprono varie ipotesi: a chi mi rivolgo, mi curo in un modo, mi curo in un altro modo. E c’è la sensazione di entrare in un campo sconosciuto: “Che cosa devo affrontare? Che cosa mi succederà?” E’ un mistero.

Questa è una fase iniziale che capita praticamente a tutti, è fisiologica ed è giusto e normale che ci sia, perché è comunque una reazione dell’uomo all’imprevisto, quindi è normale.

C’è anche, in alcuni, una reazione quasi di esaltazione, e questa non è sana: ‘ah, che bello, sono malato, davanti alla malattia posso diventare un eroe’; ‘la malattia diventa il senso della mia vita’: e questo è altrettanto sbagliato, molto, molto, molto pericoloso.

Di fronte a queste reazioni noi siamo davanti ad un bivio: o entriamo noi nella malattia con quell’atteggiamento di fede di cui abbiamo  parlato, permettendo a Dio di glorificarsi, oppure, se restiamo chiusi in questa impotenza, in questa efficienza, in questa paura del mistero, in questo voler essere noi che facciamo, facciamo, facciamo, la malattia entra in noi. E quando la malattia entra in noi ce ne accorgiamo subito, perché entriamo quasi in una fase di paralisi della nostra anima che poi si ripercuote a livello del corpo. Siamo bloccati, disorientati, spaventati e da lì non si riesce più ad uscire e il nostro unico pensiero è sempre la malattia, che cosa mi sta succedendo. Sono sempre lì che ruoto, ruoto, ruoto. Poi la mente va avanti, per cui dalla malattia entra la preoccupazione, la paura degli altri, di essere peso per gli altri, la paura  di arrivare poi alla morte, ma non alla morte in modo sano, cioè la morte come un passaggio alla vita eterna, ma la morte nel senso più denigrante, del corpo che ci abbandona nel senso negativo.

Importanza di chi sta accanto al malato, all’anziano

È importantissimo l’atteggiamento di coloro che sono accanto al malato e all’anziano. Quale grazia quando c’è un intero popolo che accompagna in modo sano, la malattia, l’anzianità e la sofferenza di un membro del popolo! Ognuno lo fa in quell’identità che lo contraddistingue: il medico, il sacerdote, l’operatore sanitario, il farmacista, i famigliari, la cuoca, chi pulisce rendendo l’ambiente ordinato e accogliente, i bambini … . Un popolo che prega, si offre e opera concretamente. Tutti hanno la loro parte, unica e irrepetibile.

C’è chi ci ha raccontato di aver fatto scelte molto sbagliate nella vita proprio a partire da come i propri genitori si fossero trovati soli a gestire la malattia del figlio. A lui hanno trasmesso paure, ansia, preoccupazione assieme a compassione umana e accondiscendenza in ogni cosa che non è stata positiva.

Noi non vogliamo sia così.

Malattia, anzianità e anche gravidanza sono condizioni di vita particolari in cui cadono quei filtri che noi abitualmente mettiamo e dove l’anima ha la massima apertura ad accogliere sia il bene che il male, ad entrare nella profondità e, se lo si vuole, a calarsi nello spirito.

L’accompagnamento è anzitutto un accompagnamento reciproco tra malato e chi gli sta attorno. Si cammina assieme in questo processo di glorificazione, trasformazione e resurrezione. Non può esserci solo il malato che cammina o solo chi gli è vicino.

Docilità e comunione

Quali sono i punti fondamentali per questo processo?  Docilità e comunione.

Docilità è lasciarsi aiutare, prima di tutto da Dio e poi dai fratelli, a partire dalle cose quotidiane più piccole, semplici e concrete, proprio dove il nostro corpo non arriva più a fare qualcosa. Tutti possiamo dire: “Che fatica chiedere aiuto!” Quale fatica, quale orgoglio deve morire nel chiedere aiuto agli altri e soprattutto quale idea distorta c’è, nella mente di ognuno di noi, che chiedere aiuto sia un disturbo! Questo vuol dire non credere fino in fondo nella comunione. Non credere che l’altro, quello che fa, lo fa primo con piacere, poi lo fa per camminare insieme. Qualsiasi cosa si faccia insieme diventa uno strumento di crescita.

In questa docilità è necessario anche accogliere che gli altri,  la comunione possano capire per noi quale sia il percorso più adatto da fare per vivere la malattia, il luogo migliore dove stare. Dobbiamo qui porci una domanda: continuo a credere nella docilità e nella comunione quando gli altri mi portano là dove non voglio andare, quando mi conducono a toccare in me quelle realtà che non voglio vedere?

Questo discorso vale sia per il malato che per chi lo accompagna, fa parte di quel camminare insieme.

La comunione non può, però, sostituire il percorso personale di una persona. Può aiutarlo, ma non ci si deve adagiare sulla comunione e vivere a traino di quello che la comunione fa, perché poi quella risposta davanti a Dio, quella scelta davanti a Dio, il cambiamento che Dio chiede ad ognuno di noi, lo possiamo fare solo noi. La comunione non è un compromesso, un mettersi d’accordo, uno sforzo umano ma è un dono che ci raggiunge quando ognuno di noi fa il suo percorso integro andando verso Cristo ed è poi Lui che unisce e dona il Suo pensiero: ecco  la comunione. Scegliere Cristo e poi aiutarsi ad andare verso Cristo.

In questa docilità la malattia, ci porta a vedere da che cosa ci si deve staccare. Ognuno di noi ha qualcosa a cui è estremamente attaccato e la malattia del corpo e della mente, la debolezza ci obbligano a lasciarlo. Diventano un terreno preferenziale per il cambiamento.

Un altro punto importante è lasciarsi aiutare a vedere in quale aspetto Dio si glorifica. Nella malattia c’è un’originalità dove Dio si può glorificare. Chi accompagna deve saper ascoltare il malato, usare  sapienza ed equilibrio ed essere attento a non applicare il proprio schema mentale.

Ci si deve anche guardare da un aspetto protettivo verso il malato che scatta in tutti, proprio perché facciamo fatica noi a vedere la sofferenza dell’altro. E’ difficile stare davanti all’altro in un atteggiamento sacerdotale, ascoltando, condividendo e portando a Dio quello che è il dolore di un’altra persona, il suo stato d’animo negativo, il suo vissuto, le sue paure. Ci scuote sempre dentro e va a toccare qualcosa nella nostra profondità. Questo ci conduce ad un atteggiamento iperprotettivo dove per noi sarebbe più facile prendere su di noi quel dolore per liberare l’altro mentre dobbiamo avere la capacità – quella che ha avuto Maria sotto la Croce – di stare accanto all’altro nelle sue croci con la nostra offerta, la nostra preghiera il nostro camminare e permettere che il malato faccia il suo percorso.

Mai un uomo deve condurre un altro uomo, è solo Dio che conduce. Ci offriremo perché l’altro faccia la scelta giusta, perché capisca cosa Dio gli sta dicendo, ma è lui che deve giungere alla chiarezza nella scelta. Certamente, in un percorso assieme, c’è uno scambio ma nel rispetto totale dell’intimità dell’anima dell’altro. Dobbiamo avere la capacità di stare dietro al cammino che sta facendo Gesù su una persona ed aiutarla a camminare su quella strada, non su quella che pensiamo noi.

Spirito anima e corpo

Nel Magnificat Maria Santissima canta: “L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore …” L’essere umano è formato da spirito, anima e corpo. Lo spirito è il centro vitale di una persona, là dove ci incontriamo con lo Spirito Santo, che ci permette di conoscere il Signore, amarlo e conoscere profondamente il suo pensiero,  in esso c’è la somiglianza con Dio che cresce sempre più in rapporto alla santità della persona. Nell’anima è impressa l’immagine di Dio, è nell’anima che si accumulano i ricordi belli e brutti del nostro vissuto, le emozioni, le ferite della vita. Il corpo è la parte esterna, tangibile in noi, esprime ciò che ha ricevuto dall’anima e, ancora prima, dallo spirito. Coglie anche ciò che viene dall’esterno e lo trasmette all’anima che a sua volta filtra gli stimoli esterni che infine arrivano alla sua memoria imprimendosi come ricordi belli o brutti. Se l’anima è aperta allo Spirito Santo Egli può agire accogliendo il bene e respingendo il male. Questo processo può operare una guarigione dell’anima e anche del corpo.

Ci si deve prendere cura del proprio corpo, così come dell’anima e dello spirito, porre attenzione ai ritmi di sonno e veglia, di riposo e attività, seguire un’alimentazione corretta. infatti il nostro corpo, se è più sano, di fronte allo stress fisico ma anche spirituale e psicologico, riesce a reagire meglio. Se sono in  mezzo al dolore fatico a pregare, a volte proprio non ci riesco, neanche lo spirito riesce a urlare quel ‘Io credo’. Il mio stare davanti a Dio è aiutato da un corpo sano.

Quando viene diagnosticata una malattia

Quando a qualcuno viene diagnosticata una malattia la prima domanda è come comportarsi, da che medico andare, a quali terapie affidarsi. Tutto questo è giusto.

È bene ricordare che c’è da parte nostra anche un accompagnamento sacerdotale e medico profondo nello spirito. Questo accompagnamento è affinché voi abbiate la luce per capire cosa è bene e male per voi. Incide anche sul medico che vi visiterà, sulla realtà. Dovete credere a questa comunione.

Nel popolo, dal 2016, esiste anche il nucleo della medicina che è un grande strumento che accompagna con la preghiera e l’offerta il cammino della medicina secondo le leggi dello spirito. Come accompagna? Immaginatevi questo nucleo che prega, si offre e mette tante risposte in una cassaforte e ognuno di voi ha la chiave della cassaforte per attingere da essa in base alla comunione e alla fede in Dio, non in loro.  Questo fa parte del bene della comunione in Cristo.

Davanti al malato, di fronte ad una diagnosi di malattia spesso si scatenano due reazioni: o quella ‘poverino, che disavventura’ o quella del supereroe ‘come sono bravo, non ho paura di niente’. Nell’accompagnarlo, l’atteggiamento sano è permettergli di manifestare quelli che sono i suoi stati d’animo, aiutarlo a riconoscere che è normale fare fatica, avere paure, incoraggiarlo però che proprio lì possiamo chiedere aiuto, lì Dio può glorificarsi e lì si apre la speranza.

Malattia e debolezza come protezione

Abbiamo osservato come, a volte, la malattia, in questo cammino con Dio, sia servita da protezione, ad esempio nei confronti di una scelta sbagliata di vita che si stava per intraprendere. Una protezione dal tuo io, una protezione per tutto ciò che tu faresti anche pensandolo bene ma che invece non serve a nulla; una protezione che ti costringe a stare dentro dei paletti. Però in quei paletti  Dio si  glorifica. Se stando davanti a Dio in un’apertura gli chiedi: “Cosa mi vuoi dire, perché questo?”e ascolti la risposta, siccome stavi cercando Dio, ti senti dire: “Ti capita perché ti voglio così, ti capita perché ti voglio con me, ti capita perché ti amo”. Questo ti mette nella pace, ti fa smettere di combattere, ti fa calare nello spirito, non hai più bisogno di cercare in tutti i modi di capire cosa Dio vuole, cosa devi fare. Spesso veramente ci dibattiamo in tutta questa fatica ‘cosa sarà, cosa vorrà? Non ho risposto, ho sbagliato; non ha risposto quello …, non ho risposto io …’. Entra, invece, chiedendo a Dio: “Ma cosa mi vuoi dire?” Ascolta la risposta … poi stai in pace!

Abbiamo notato che il corpo ad un certo punto non può più seguire gli impulsi sbagliati dell’anima, quelli che non vengono dallo Spirito Santo. Cioè, l’anima avrebbe degli impulsi, che poi trasmetterebbe al corpo, di fare delle cose, di fare delle scelte, di compiere delle azioni, e abbiamo visto persone che, grazie alla malattia, quelle azioni non hanno più potuto compierle. Dio lì ha posto un limite che ha bloccato delle scelte sbagliate, ed ha permesso poi a quelle persone di fare delle scelte giuste e corrette in Dio. Questa è stata protezione.

Limite come segno di amore

Il limite è segno di amore, è segno di grazia. Per noi gli anziani, non sono un peso. Voi non siete un problema, coloro che: ‘adesso abbiamo da preoccuparci anche di voi!’, perché nel mondo è così. Per noi siete una ricchezza. Per noi, se voi accompagnate la vostra situazione, l’anzianità con serenità e pace per quel che si può, nei limiti che avete, sono tutte benedizioni che allargheranno una strada che sarà sempre più quella di Dio. E’ come dice Isaia: “Spianate le colline, sanate, fate quella via dove devono passare i santi”. Si fa così quella via. Uguale vale per i malati, per noi non sono un problema, sono un dono. Assistere un malato: non c’è ricchezza più grande, è come andare a una Messa, ma sul serio! Uguale un anziano. Celebrare, andare a pulire un anziano, un malato, lo fai volentieri.

Se l’altro lo riceve con lo stesso amore, cosa si crea lì? Un vortice trinitario. Il guaio è quando l’altro non vuole, teme che io  faccia fatica e allora è tutta una resistenza, è tutta una vera fatica. Ma guardate che qui un atteggiamento di docilità, accettato e offerto, è glorificare, è elevare, è una Santa Messa.

Assumere

Gesù assume le nostre infermità e nell’Eucarestia Gesù ci dice: “Vi do il mio corpo, il mio sangue”, mi assumo il vostro corpo, il vostro sangue, assumo la vostra malattia. Un malato, come può percepire: io Gesù, assumo la tua malattia, assumo il tuo corpo malato?

Quando tu sei in quella dimensione che Lui si glorifichi, sei in quella dimensione di essere un altare, un sacerdote che eleva tutto,  Gesù assume e porta davanti al Padre. Dio ha la libertà di operare la guarigione in te ma la cosa più grande che può fare è che, portando la tua malattia, non porta solo la tua, ma porta migliaia e migliaia di anime, porta il Purgatorio, porta quelli che stanno perdendo speranza, porta quelli che non hanno avuto la grazia di accogliere come hai accolto tu, quelli che non hanno la grazia di ricevere l’Eucarestia, di avere una comunione. Li assume attraverso di te. Tu sei lo strumento. Lui li assume e li porta.

E a te cosa torna? A te torna tutto trasformato, che non vuol dire: non sono più malato. Magari umanamente stai peggio di prima, però sarà tutto più riempito di grazia, riempito di forza, riempito di amore, riempito di eternità. La parola giusta forse è questa: riempito di eternità. Quando poi assumi degnamente l’Eucarestia Gesù entra e si fonde con te, nel tuo spirito, nella tua anima e in tutte le cellule del tuo corpo.

Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio – portare speranza 

Tutto quanto abbiamo affermato per i malati e gli anziani vale per ogni situazione di difficoltà, di debolezza, per ogni prova della vita, vale per adulti, giovani e bambini.

Se mi fondo con Cristo la mia vita diventa una preghiera continua, dove, in ogni situazione vivo quel: ‘Gesù glorificati’. San Paolo ci dice: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” e noi possiamo confermare che è veramente così! Tutto concorre al bene perché tutto mi aiuta a morire a me stesso, mi aiuta ad essere trasformato, mi aiuta a risorgere e diventare creatura nuova. E mi aiuta ad amare il prossimo portandogli l’annuncio incarnato che Gesù ha vinto il mondo. Voi lo fate con la vita. Questo è portare speranza.

Farmaci

Quante volte nasce nel malato la domanda: è bene o no prendere un farmaco?

A volte prendere un farmaco è importante, facciamo un esempio. Quando noi abbiamo un dolore, mettiamo: male ad un piede, un intenso male al piede, questo dolore viene recepito anche dall’anima, passa al cervello ma anche all’anima. L’anima inizia a dire: “Ho male al piede, ho male al piede, ho male al piede” e manda questo impulso al cervello che, a sua volta inizia a dire: “Ho male al piede, ho male al piede, ho male al piede”. Il cervello rimanda questo impulso all’anima: “Ho male al piede, ho male al piede”, l’anima lo rimanda al cervello. È come se si creasse un circuito tra anima e cervello, anima e cervello che si ferma lì. Non riesci più a pensare a nient’altro. Quindi, l’anima non può più fare dei passi in avanti, non è più in grado di cogliere gli stimoli che arrivano dallo spirito perché è come se fosse paralizzata, si bloccano reciprocamente, l’anima e il cervello, l’anima e il cervello. Quindi, quando noi prendiamo un farmaco, una semplice Tachipirina, che toglie quel dolore al piede, rompe questo circuito che si crea tra il cervello e l’anima. Il dolore si abbassa, l’anima inizia a ricogliere anche gli impulsi che arrivano dallo spirito e questo permette di avere dei progressi in avanti. Quindi, ostinarsi quando si sta male a non voler prendere niente, sentirsi degli eroi, perché ‘voglio sopportare a tutti i costi il dolore’, anche secondo le leggi dello Spirito non è per niente sano. Quando non controlli il dolore non riesci più a pregare, è  la materia che prende il sopravvento sullo spirito.

Tutto ciò ovviamente vale anche per malattie come la depressione e l’ansia. Non abbiamo paura di prendere qualcosa che rompa questo circuito di ansia e di depressione!

Noi non proponiamo una medicina senza farmaci o con alcune terapie e farmaci piuttosto che altri, ma la novità nella medicina che vogliamo proporre sta nel cambiamento profondo dentro di noi, in quel partire dallo spirito, dove dimora lo Spirito Santo, affidandosi a Dio, credendo nel suo amore. Partendo da lì possiamo usare tutto!

Riteniamo indispensabile però che anche la terapia faccia parte di quel percorso di comunione e di crescita tra medico e paziente, non è quindi uguale per tutti secondo schemi rigidi.

Abbiamo visto ancora come anche lo stesso paziente nel corso del tempo, nella trasformazione del suo rapporto con Dio e nella comunione coi fratelli, abbia accolto terapie diverse.

Concludiamo presentandovi la testimonianza significativa di un malato oncologico che sta seguendo un iter terapeutico in un ospedale pubblico: “Per me, c’è stato un percorso. Quando ho cominciato, il mio corpo non sarebbe stato in grado di fare la terapia che sto facendo oggi. E il fatto che non ne ero in grado, lo riconoscevo davanti al Signore.  Avevo contro tutti i medici però io non ce l’ho con la medicina. Io dicevo: ‘so che questa cosa non la posso fare’,  sentivo che non era bene per me, dicevo ‘curatemi solo i sintomi’ Poi, andando avanti, guardando davanti a Dio e anche nella comunione, ho capito che poteva aprirsi una strada nuova. Ero costretto a trasfusioni di sangue tutti i mesi e ad un controllo ho incontrato un medico che mi dice: ‘noi dobbiamo curare prima la persona che la malattia’ e, guardandomi, aggiunge: ‘per lei, per la sua malattia, c’è solo questo farmaco. Se vuole può provare ad usarlo, veda lei, se mai lo lasci’  E  così l’ho provato un paio di volte e ho visto che stavo male, così l’ho smesso. Dopo alcuni mesi, sempre in colloquio col medico, ho deciso di riprovare quella terapia. Non sono più stato male e mi sta facendo bene. Gli esami si sono regolarizzati.  Ringrazio Dio perché adesso sto meglio.

Ho capito che c’è un cammino da fare, non è una cosa statica. C’è un percorso che fai tu con Dio e c’è un percorso che fai tu, sempre con Dio, ma nella comunione. E tutto questo ti fa cambiare.

So che è Dio che mi guarisce, a Lui do carta bianca perché scelga il il sommo bene, su questo non ho nessun dubbio, poi, ovviamente, a disposizione c’è ‘ogni ben di Dio’. il Signore ci ha dato tutto, non manca nulla. La vita è bella.”

Possiamo dire che qui, partendo dallo spirito e nella comunione c’è stata una trasformazione nell’anima e anche nella materia, cioè nel corpo.