Tratto dal libro “A Medjugorje – La Madonna è viva” Colloqui con Padre Tomislav Vlašić“
Ed. Luci dell’Esodo
L’offerta della vita in olocausto
Hai parlato dell’offerta a Gesù attraverso Maria, dicendo che è fondamentale. Potresti spiegarci meglio in cosa consiste l’offerta della vita in olocausto?
È una cosa talmente semplice e nello stesso tempo tanto complessa. È semplice perché è impressa nell’essenza stessa dell’uomo. Complessa perché l’uomo è egoista e, di fronte alle difficoltà, si chiude nei propri interessi: piuttosto che sacrificare i propri interessi, rovina se stesso. Cercherò di essere più chiaro. Per noi è normale incontrare persone pronte a sacrificare tutto perché si amano, al fine di custodire l’amore. È normale vedere genitori pronti a sacrificarsi per i figli e a dimenticare se stessi perché i figli si realizzino. Quando incontriamo persone così, ne abbiamo stima perché sappiamo che hanno sacrificato la vita per dei valori, per degli ideali. Ci rallegriamo quando vediamo persone pronte al sacrificio. Dio risveglia in chi è fedele i valori eterni, promuove cioè i valori che ci conducono alla vita eterna. Perciò Gesù ci invita a sacrificare tutto ciò che è di ostacolo, tutto ciò che ci impedisce di entrare nella vita vera: “Chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà: chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me la ritroverà”.[1] La vita di Gesù è per noi l’esempio perfetto.[2]
L’offerta ci permette di crescere spiritualmente e diventa anche la nostra missione. Quando viviamo completamente offerti a Gesù attraverso Maria, la vita divina si sviluppa liberamente in noi e si manifesta agli altri, si trasmette agli altri. A questo riguardo S. Pietro ci ha lasciato un insegnamento: “Dio vi ha scelti perché vi comportiate come Cristo quando morì per voi. Egli vi ha lasciato un esempio da seguire. Egli non ha mai fatto un peccato, con le sue parole non ha mai imbrogliato nessuno. Quando lo offendevano, non restituiva le offese; quando lo facevano soffrire, non parlava di vendetta, ma aveva fiducia in Dio che giudica con giustizia. Egli ha preso su di sé i nostri peccati e li ha portati con sé sulla croce, perché finiamo di vivere per il peccato e viviamo invece per il bene una vita giusta. Le sue ferite sono state una guarigione. Eravate come pecore disperse, ma ora siete tornati al vostro pastore, al guardiano delle vostre anime”. [3]
Il celebre scrittore croato Živko Kustić, in un suo libro, ha scritto questo pensiero: “Al cristiano nulla è così chiaro come la croce del Signore. Ma quando si trova di fronte ad essa, spesso è come un uomo addormentato, al momento in cui suona la sveglia: cerca di spegnere la suoneria, e non di rado butta la sveglia…”. Possiamo concludere che occorre accogliere l’amore di Dio che viene dalla croce e svegliarci, altrimenti diventeremo nemici della croce.
Hai sottolineato che l’offerta a Gesù deve avvenire attraverso la Madre Immacolata. Perché?
È talmente semplice! La Madonna è Immacolata, perfettamente unita a suo Figlio. È l’unica creatura che si è unita perfettamente a Dio. È modello per la Chiesa e Madre della Chiesa. Nella sua maternità, incarna in sé la maternità divina e dà a ciascuno la possibilità di accogliere, attraverso di lei, la tenerezza di Dio. È per noi la Mediatrice ed è il più grande dono che Dio ci abbia fatto dopo Gesù Cristo. Maria ci insegna ad unirci al Salvatore, anche quando siamo provati fino alla morte. In questo legame puro con Gesù, le nostre sofferenze divengono apportatrici di salvezza per noi e per l’umanità. Papa Giovanni Paolo II ha dedicato particolare attenzione a questo tema nel documento “Salvifici doloris”.
Quando l’umanità è in pericolo, Dio manda sua Madre. Lei ci attira nel suo cuore e ci insegna a offrire a Dio le nostre sofferenze, a sottometterci alla sua volontà ed ad intercedere con lei per la salvezza del mondo. Il tempo in cui viviamo è molto denso di avvenimenti, lo vediamo tutti, e credo che grandi prove attendano l’umanità. Dio desidera attirare a sé in ogni modo quanti sono di buona volontà; e per aiutarci a rispondere al suo invito, ci ha donato la Regina della Pace. Svegliamoci e rispondiamo a Dio!
Quando si parla dell’offerta a Gesù le persone si spaventano. Pensano che offrirsi significhi attirare su di sé difficoltà e croci. Perché questa paura?
Determinate ragioni dipendono dall’esperienza dei singoli, ma altre derivano dall’ignoranza del corretto significato della sofferenza salvifica. Cerchiamo di comprendere meglio.
Ho detto che le prime ragioni risiedono nell’uomo che, generalmente, ha paura di affrontare le sfide e quindi anche le sfide della fede. Prendiamo l’esempio di un giovane che non vuole studiare perché sa che lo studio è esigente. Oppure di un giovane che sente la chiamata ad essere sacerdote, ma si blocca perché teme di dover rinunciare a determinate cose. In entrambi i casi le persone fuggono dalla responsabilità, dalle sfide della vita, si chiudono nella propria debolezza, seppelliscono gli ideali solo per paura. Perdono la fiducia in se stessi e la forza, e permettono che in loro crescano sentimenti negativi che sono un ostacolo all’unione con Gesù. Per chi vive un tale atteggiamento, la croce diventa un punto oscuro, perché l’anima non è più in grado di cogliere il significato della sofferenza offerta, del sacrificio che genera la vita.
Qual è allora il corretto significato di sofferenza salvifica?
Ho notato che molti fedeli hanno un’opinione generica riguardo all’offerta e alla sofferenza. Generalmente la gente identifica la sofferenza salvifica con un dono di sofferenza, come ad esempio le stigmate in Padre Pio da Pietrelcina, oppure in san Francesco d’Assisi. Entrambi hanno ricevuto un dono particolare e sono stati chiamati ad unire pienamente a Gesù tutte le loro sofferenze per renderle in tal modo salvifiche. Se da un lato l’esperienza delle stigmate è da considerarsi un dono particolare che hanno ricevuto da Dio, dall’altro lato, entrambi hanno vissuto una chiamata che è la stessa che dobbiamo vivere tutti noi, se vogliamo essere veri credenti. Se non entriamo nella sofferenza salvifica non possiamo abbattere gli ostacoli che abbiamo eretto tra noi e Dio, non possiamo guarire, essere salvati, sperimentare la beatitudine. San Paolo dice: “D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti, io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”[4]. Questo non vuol dire con certezza che san Paolo abbia portato le stigmate come San Francesco d’Assisi; di sicuro, però, significa che ha offerto le sue sofferenze insieme a Gesù, ha portato impresse nella sua anima le sofferenze di Gesù, le sue ferite gloriose che sono frutto della sofferenza salvifica. Ciascun apostolo le ha portate in sé e lo stesso deve fare ogni vero cristiano. Questo è il primo sigillo della vittoria di Gesù sul male, che fa di ogni credente un autentico testimone.
Un’altra cosa importante è saper discernere da dove provengono le sofferenze: se provengono da Dio o da satana. Quando Dio affida una sofferenza e l’uomo l’accetta liberamente e con amore, nella sua anima si riversano dolcezza e soavità. Allora le sofferenze non procurano amarezza. San Francesco d’Assisi testimonia che quando ha abbracciato il lebbroso con amore, in lui ogni amarezza si è mutata in dolcezza. Allo stesso modo, quando ha ricevuto le stigmate di Gesù, la sua anima si è immersa in tutta la soavità della nuova vita in Dio. Questo perché Dio, attraverso la sofferenza salvifica, ci trasforma in nuova creatura. Per questo san Paolo acclama: “Io invece voglio vantarmi soltanto di questo: della croce del nostro Signore Gesù Cristo, poiché egli è morto in croce, il mondo è morto per me e io sono morto per il mondo. Perciò non conta nulla essere circoncisi o non esserlo. Ciò che importa è essere una nuova creatura.”[5]
Quando invece in una persona la sofferenza proviene dal male oppure quando una persona per egoismo si ribella contro la sofferenza, quest’ultima produce solo amarezza e frutti negativi. Chiude l’anima in una sorta di stato patologico e la distrugge. Per questo satana cerca di trasmettere amarezza, tristezza, disperazione alle persone che sono ammalate e soffrono, perché vuole annientarle, vuole impedire che offrano a Dio quelle sofferenze. Cerca di suscitare illusioni o paure in modo che quelle anime si rinchiudano in se stesse, nell’amor proprio, affinché non si curino di vivere la sofferenza salvifica e diventare creature nuove.
Ecco, tutti noi siamo chiamati a donarci completamente a Gesù attraverso Maria. Solo in questo modo ogni nostra sofferenza diverrà salvifica e ci trasfigurerà. Questa è la più grande forza che può trasformare il mondo e vincere le potenze del male in tutto l’universo.
Dove ci conduce questo cammino di fede?
Ci porta dai segni alla realtà della vita divina, dagli strumenti alla mèta che è la piena realizzazione dell’uomo in Dio. L’uomo incontra Dio che si rivela a lui nell’anima. In Dio incontra se stesso, cioè scopre la sua originalità in Dio. Acquista una conoscenza immediata di Dio, nella sicurezza della fede, come gli apostoli dopo la risurrezione: “Nessuno dei discepoli aveva il coraggio di domandargli: Chi sei? Avevano capito che era il Signore.”[6]
Con questa sicurezza che ci viene dalla fede camminiamo verso l’eternità. Manifestiamo e comunichiamo agli altri la vita divina ed entriamo in comunione con la Chiesa intera.
[1] cfr Mt 16,25
[2] cfr. Fil 2,6-11
[3] 1Pt 2, 21-25
[4] Gal 6, 17
[5] Gal 6,14-15
[6] Ecclesiaste 21, 12
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